Nicola Montanaro

Nicola Montanaro

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Perché golmoderno.it

“Golfmoderno.it” viene pubblicato poco dopo la rivista “Golf Moderno” da cui trae ispirazione per una nuova via nella comunicazione golfistica.

Pur attenendosi ai canoni della comune informazione, infatti, amplia i propri orizzonti con articoli che possano suscitare l’attenzione anche di lettori che non siano interessati esclusivamente al golf giocato, ma proponendo una serie di argomenti su ampia scala che vanno dalla storia della disciplina ai grandi personaggi del passato, dai campioni del presente ai più importanti eventi nazionali e internazionali.

Nella rivista tutto viene proposto in una visione diversa dalla semplice cronaca, che per un periodico ha poco senso, ma entrando nel vivo di quanto l’avvenimento stesso ha proposto, esaminando le varie chiavi di lettura e quanto può aver apportato di nuovo o di utile sotto l’aspetto tecnico, comunicativo e soprattutto promozionale nell’ottica di un futuro più o meno immediato. Tutto ciò senza trascurare l’attività dei circoli ai quali si intende dare supporto per la crescita e la divulgazione della disciplina in ambito locale, che poi, in una somma complessiva, significa far espandere il golf su larga scala.

In “golfmoderno.it”, pur mantenendo i temi che ispirano la pubblicazione cartacea, viene dato anche spazio all’attualità essendo un sito internet di impatto immediato e concedendo l’opportunità di aggiornamento praticamente in tempo reale.

Riteniamo inutile dilungarci ulteriormente sui contenuti e su quanto altro abbiamo in animo di fare, perché preferiamo essere giudicati sull’opera e non sulle parole.

Lasciano, pertanto, a coloro che vorranno seguirci in questo nostro percorso ogni giudizio, commento, critica, indicazioni e quanto altro vorranno comunicarci. Ne terremo comunque conto.

L’editore

Verrà ricordata sicuramente come una delle giocatrici più influenti nel mondo del golf femminile statunitense e non solo per le sue vittorie, ben 61 comprensive di undici in major. Louise Suggs, infatti, è stata una delle tredici socie fondatrici, nel 1950, della LPGA di cui ricoprì la carica di presidente per ben tre mandati. Ci ha lasciati da poco tempo, deceduta per cause matura nella sua casa di Saratoga, in Florida.

Nata il 7 settembre del 1923, ad Atlanta in Georgia, probabilmente un luogo per predestinati, aveva 92 anni.

Pure se la LPGA ufficialmente è datata 1950, la storia vincente di Louise Suggs era cominciata nel 1946 e si è protratta ininterrottamente fino al 1962 con almeno un titolo l’anno.

Si fece conoscere proprio nel 1946, quando era ancora dilettante, aprendo il palmares con due major dell’epoca, il Titleholders Championship e Women's Western Open, poi in coppia con un altro grandissimo, Ben Hogan, si impose nel Pro-Lady Victory National Championship. L’anno dopo, ancora da amateur portò a tre i major, confermandosi nel Women's Western Open, e aggiungendovi anche l’US Womens Amateur, ossia l’equivalente major per dilettanti. Nel 1948 fece suo anche l’altro major per dilettanti, il British Amateur Championship che completò il ciclo prima di passare di categoria l’8 luglio. Nel 1949 i tornei del grande slam conquistati arrivarono a cinque, con il Western Open e con l’US Womens Open. E non aveva avversarie facili da battere in tali gare. In particolare si inchinarono Patty Berg, quattro volte seconda, e Babe Zaharias.

Nata la LPGA non si esaurì, comunque, la sua vena, anche se presa da tanti impegni. In particolare nel 1953 fu prima nella money list, dopo aver dominato in otto gare compreso il Women's Western Open che si assicurò per la quarta e ultima volta. Completò il grande slam nel 1957 con il LPGA Championship, una delle sole sette donne fino a oggi capaci di compiere l’impresa, e nel 1959 andò a segno per l’undicesima volta in un major, portando a quattro anche i successi nel Titleholders Championship, mentre l’US Womens Open lo vinse due volte. L’ultima prodezza nel 1962 quando conquistò il titolo del St. Petersburg Open.

La Suggs, al quale il famoso comico Bob Hope diede il soprannome di “Miss Sluggs” per la sua lunghezza dal tee, ha fatto da apripista in diverse occasioni. Fu una delle prime golfiste a trovare posto nella LPGA Tour Hall of Fame alla sua creazione nel 1967. Fu la prima donna ammessa alla Georgia Athletic Hall of Fame e dimostrò nel 1961 che le golfiste potevano competere con gli uomini vincendo una gara contro 24 professionisti compreso Sam Snead. Ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti tra i quali il Patty Berg Award (2000) per i contributi eccezionali dati per la crescita del golf femminile e, nello stesso anno, in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni della LPGA, è stata selezionata come una tra i 50 migliori giocatrici e maestri dell’Associazione.

Nel 2007 ha ricevuto il prestigioso Bob Jones Award e nel 2008 il Wlliam D. Richardson Award, conferitogli dalla Golf Writers Association of America. Anche dopo aver concluso la carriera e rimasta sempre un personaggio forte e rappresentativo del golf. Per lei il Masters era un appuntamento fisso, seduta su una sedia davanti alla club house. Inoltre era una delle sette donne alla quale è stata concessa l’appartenenza al Royal & Ancient di St. Andrews dopo che è stato abrogato il veto di accesso alle donne in vigore da 260 anni.

Infine Ben Hogan, nella prefazione fatta al libro della Suggs “Par golf for womens” ebbe a scrivere: “Se dovessi individuare nel modo di oggi una donna come modello per qualsiasi altra donna che aspiri a forme di golf ideale, sarebbe solo la signorina Suggs”. 

Rieti aveva due campi da golf, ora ne è rimasto uno, il Centro d’Italia che da parecchi anni calamita gli appassionati locali sulla collina di Castelfranco. Pochi per numeri assoluti, tanti se pensiamo al campione di una città in cui ancora si può vivere a misura d’uomo e poi tre professionisti. Niente male, insomma. Due, Ulderico Albanesi e Alessio Olivo, si sono dedicati all’insegnamento, Stefano Pitoni, invece, ha scelto la difficile strada del tournament player. Da due anni è sull’Alps Tour.

“Sono arrivato al golf per caso” racconta il 25enne reatino. “Avevo dieci anni e durante i pomeriggi ogni tanto con i miei amici sospendevamo i nostri giochi e ci soffermavamo a guardare in televisione un cartone animato intitolato ‘Tutti in campo con Lotti”. Raccontava di un ragazzo che giovava a golf e iniziando praticamente da zero era poi divenuto un campione. Così per spirito di emulazione, io e altri miei compagni abbiano cominciato a frequentare il GC Centro d’Italia. Specie d’estate eravamo lì a goderci l’aspetto ludico della disciplina. Crescendo le cose sono cambiate: sono stato sempre più coinvolto e così ho visto nel golf una prospettiva per il futuro. La passione è cresciuta sempre di piùed è stata una molla importante. Peraltro quando una cosa ti piace, diventa tutto più semplice, ci si allena volentieri e nulla è di peso”. 

- Una carriera da dilettante con qualche buon risultato, un successo nel Città di Milano, poi le prime esperienze nell’Alps Tour con alcune top ten che non sono male per un amateur. Sono stati questi risultati tra i pro a farti fare il passo?

“Magari hanno contribuito, ma soprattutto è stata la conclusione naturale di un lungo percorso. Sono stato nel team azzurro dal 2008 al 2013 e ho potuto fare una lunga e buona esperienza internazionale. Dopo aver disputato i Campionati Europei Under 18 a squadre, alcuni British Amateur e tante altre gare di peso viene naturale cercare qualcosa di più stimolante. Sono passato quanto ho ritenuto che tra i dilettanti non avevo altro da provare o da sperimentare”.

- Hai cambiato categoria a 23 anni, non ti sembra di aver atteso un po’ troppo? In altre nazioni il salto avviene generalmente prima.

“Forse ho allungato un po’ di più, ma il salto di categoria va fatto quando ti senti veramente pronto. A 21 anni non ero ancora sicuro del mio gioco e non avevo la certezza di potermi esprimere come occorreva tra i professionisti. Ho preferito attendere due anni in più e credo di aver scelto il momento giusto. La convinzione è arrivata anche grazie a quelle top ten conseguite nell’Alps Tour. Sono stati test determinanti: è un circuito molto diverso da quando era stato istituito. Il livello qualitativo si è notevolmente elevato ed è una bella palestra per salire ai livelli superiori”.

- Dalla nazionale dilettanti alla squadra professionisti...

“Si, il 2015 è stato il mio primo anno nel team azzurro, categoria Alps Tour, è anche questo ha aggiunto qualcosa al mio bagaglio”.

- Come giudichi i primi due anni nel circuito?

“Sono state due stagione molto diverse. Per la prima posso darmi un voto tra il sette e mezzo e l’8 perché ho tenuto una condotta molto regolare: ho superato dieci volte il taglio su quattordici gare e mi sono classificato per cinque volte e tra i primi dieci. Per essere un debuttante è stato un inizio ampiamente positivo. Sono arrivato fino allo Stage 2 della Qualifying School, e, sebbene non sia poi riuscito ad andare avanti, è stato comunque un altro risultato buono. Nel secondo anno dal punto di vista della moneta ho guadagnato qualcosa in più, ma come regolarità ho lasciato a desiderare. In compenso mi sono classificato secondo all’Alps de Las Castillas, in Spagna, a un solo colpo dal vincitore, e ho fornito una grandissima prestazione. Il resto del cammino è stato discontinuo, in parte dovuto a qualche errore tecnico sullo swing e su altre cose su cui sto lavorando in questo periodo. In entrambe le stagioni c’è stato del buono e altro da rivedere. Nel 2014 ha prevalso la regolarità, ma nel 2015 sono stato a un soffio dalla vittoria”.

- L’anno comunque è finito con un episodio alquanto sfortunato...

“Si, sono stato costretto al ritiro allo Stage 1 della Qualifying Scool per mal di schiena quando a un giro dal termine ero al 14° posto e stavo giocando veramente bene. Ero particolarmente in fiducia, sentivo tutti i colpi, il gioco lungo funzionava e probabilmente sarei approdato allo Stage 2”.

- Hai subito un contraccolpo psicologico? In fondo è significato rimanere un altro anno nell’Alps Tour.

“In realtà in quel momento ho perso le chance di scalare almeno un tour, ma non era poi detto che sarei riuscito ad arrivare fino alla finale e prendere una ‘carta’. Quindi può rimanere un po’ d’amaro in bocca per la sfortuna, ma nello sport l’infortunio ci sta. Magari se mi fosse accaduto in una gara normale non mi ci sarei soffermato più di tanto. In realtà la Qualifying School è l’obiettivo finale della stagione, la gara che aspetti e a cui pensi spesso durante l’anno e sulla quale imposti una parte del lavoro. Dal punto di vista morale la disavventura non mi ha lasciato strascichi: io sono un tipo abbastanza tranquillo, le cose negative me le faccio scivolare addosso e passo avanti. E’ il lato positivo del mio carattere”.

- Hai parlato di cose da rivedere...

“Sto lavorando insieme al mio maestro Alessandro Trillini, che mi segue spesso e mi aiuta molto in campo, perché essendo giocatore mi da dei consigli importanti durante la gara. Stiamo lavorando parecchio sul gioco corto, dai cinquanta metri in avanti dove devo migliorare e di parecchio. Con i ferri, invece, le cose vanno nel modo giusto. Ho piena fiducia nel mio gioco lungo”.

- I tuoi obiettivi a breve scadenza?

“Non faccio voli pindarici e voglio essere nella realtà, Il mio primo traguardo è di accedere al Challenge Tour. Spero di poterlo raggiungere a breve termine, perché è nelle mie corde. Quest’anno ho partecipato all’EMC Golf Challenge all’Olgiata. Ho superato il taglio e mi son reso conto che a quel livello posso competere. Certo non è un circuito facile, ci sono giocatori molto forti, ma sono convinto di poter fare qualcosa di buono”.

- Ti sei posto un limite di tempo per quanto riguarda le tue aspettative?

“Non ci sto pensando attualmente. Gioco vivendo il presente, cerco di divertirmi e di lavorare sulle cose che non eseguo bene. Non mi sfiora l’idea di pensare ad altro se magari qualche stagione non fosse pari alle attese. Mi piace talmente il golf che non penso proprio di lasciarlo. O almeno ora la vedo così, poi tra un bel po’ di anni si vedrà”. (P. R. R.)

Da 2 al 5 settembre prossimo tornerà l’Open d’Italia. Sarà la 78ª edizione dell’evento nato nel 1925  che però in tanti anni ha espresso solo sei vincitori italiani, due capaci di fare doppietta, Ugo Grappasonni (1950-1954) e Francesco Molinari (2006-2016) che si sono affiancati a Francesco Pasquali, a segno dell’edizione inaugurale del 1925, Aldo Casera (1948), Baldovino Dassù (1976) e a Massimo Mannelli (1980). Tra i "magnifici sei" soffermiamo l’attenzione su Aldo Casera e Ugo Grappasonni, due esponenti dei mitici "Tre moschettieri" del golf italiano.

Del trio faceva parte anche Alfonso Angelini, che non ebbe mai la fortuna di vincere l’Open, ma che detiene un primato probabilmente destinato a perenne imbattibilità: si impose per ben dieci volte nel Campionato Nazionale Omnium, oggi Campionato Nazionale Open. La loro storia si intreccia con quella di un altro grandissimo personaggio, Pietrino Manca "il maestro dei maestri" che ha trascorso tutta la sua vita in quello che era divenuto il suo piccolo regno: il Circolo Golf Roma Acquasanta. Furono loro, tra l’altro, che il 18 novembre 1963, insieme ad Antonio Roncoroni presidente del Golf Club Menaggio, fondarono l’associazione dei professionisti, prima chiamata APIG e successivamente PGA Italiana.

ALDO CASERA

Aldo Casera conquistò il titolo Open (1948) nell’immediato dopo guerra, nella sua Sanremo. Ci aveva provato già l’anno prima, ma fu bruciato dall'olandese Flory Van Donck, che si era imposto nell’edizione del 1938, l'ultima prima degli eventi bellici, e che dunque era il campione in carica. Van Donck, autentico gentleman, si era sentito in dovere di venire a difendere il titolo, quando nessuno gli avrebbe certo rimproverato il contrario. A Casera non fu sufficiente stabilire il nuovo record del percorso con 61 colpi e perse soprattutto per uno scarso feeling con il putter.

Un giornalista definì i suoi putt "miserabili", ma Casera non se la prese poi più di tanto. "In fondo - ebbe a dire - avrei potuto avere un palmares molto più consistente, ma ero troppo nervoso e sul green ne combinavo di tutti i colori, mandando regolarmente in fumo quanto avevo seminato dal tee. Avevo un drive molto lungo e eseguivo approcci eccellenti, poi però c’era sempre il green... Così nella mia carriera ho collezionato tanti secondi e terzi posti, ma meno successi di quanti forse ne avrei meritati".

Nel 1948 si prese la rivincita, ma la vittima non fu Van Donck. Sconfisse Pietrino Manca e Ugo Grappasonni in una gara memorabile. Dodici mesi dopo Casera sfiorò il bis. Fu superato a Villa d'Este dall'egiziano Hassan Hassanein, all'epoca trentatreenne, un fior di giocatore che, tra l'altro, batté il famoso australiano Norman Von Nida nella finale dell'Egyptian Match Play nel 1951. Ebbe un destino tragico: perse la vita per lo scoppio di una stufa a kerosene nel 1957. Casera fu ancora secondo nel 1960 a Venezia alle spalle di Brian Wilkes, anno in cui terminò la prima serie, chiamiamola così, dell'Open d'Italia (che non si disputò tra il 1961 e il 1970) e in cui si concluse anche il periodo forse migliore per i giocatori italiani, quello appunto iniziato nel 1947, con tre successi e nove secondi posti.

Casera era nato nel 1920 a Sanremo. Da bambino vide nascere il Circolo degli Ulivi, strappato alla collina da 250 operai. Fu un amore a prima vista, che i genitori non vedevano di buon occhio. Gestivano un ristorante a Ventimiglia prima di trasferirsi in Valle Crosia, nei pressi di Bordighera dove c’era un percorso che avevano creato gli inglesi vacanzieri, che con questo sistema (costruire tracciati in tutto il mondo ovunque avessero un motivo per sostare) hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo della disciplina.

I Casera avevano perso alcuni terreni espropriati per dar vita al percorso sanremese e, in particolare, era di loro proprietà una casa nel luogo dove sarebbe poi nata la buca sette. In essa il progettista Peter Gannon lasciava sacca e ferri, che qualche volta il piccolo Aldo usava. Aveva imparato a giocare seguendo il greenkeeper Placido Calegari come un’ombra e proprio nel 1931 vinse la sua prima gara a Bordighera. Limitò la scuola alle elementari e a un corso di scuole serali, poi fu solo golf, prima come caddie di Peter Gannon, poi come assistente del maestro Prette a Menaggio e a Carezza. A diciotto anni fu terzo ai Campionati italiani, ma la sua ascesa venne interrotta dalla guerra. "Durante la prigionia - raccontò più tardi - usavo un badile per eseguire lo swing".

Ripresa l’attività vinse l’Open di Normandia (1947) e l’anno dopo accompagnò il successo nell’Open d’Italia con quelli nell’Open delle Dolomiti e nel Campionato Italiano. Seguirono l’Open Championship dei Laghi e il Campionato Nazionale Omnium (1949), l’Open di Svizzera (1950), l’Open del Marocco, il Campionato Italiano Match Play e l’European Open (1954), il Campionato Nazionale Italiano (1956/1959), l’Open Lancia d'Oro (1965) e l’Open de Vallescure (1969).

Nel 1948 divenne maestro titolare del Golf Club Milano, dove rimase fino al 1967, e nel frattempo ebbe l’incarico di rendere praticabili le 18 buche di Sanremo devastate dagli eventi bellici. Soleva dire di aver dato tanto al golf, ma riconosceva di aver ricevuto tanto di più. Tra i suoi fiori all’occhiello, l’aver insegnato golf a Re Baldovino del Belgio.

Aldo Casera era un gentiluomo vecchio stampo, sempre pacato e misurato nel linguaggio, dotato di grande umanità e "così signorilmente modesto", come scrisse di lui il giornalista Gabriele Villa, inviato de "Il Giornale". Avanti con gli anni, era sempre presente ai maggiori avvenimenti, quasi un'istituzione. Scomparve improvvisamente nel 1999, nella notte del 2 maggio per una crisi cardiaca, dopo aver assistito alla terza giornata dell'Open d'Italia, disputato a Torino in occasione del Centenario della Fiat.

UGO GRAPPASONNI

Ugo Grappasonni, autentico "romano de Roma", era nato al Quarto Miglio, un chilometro oltre il circolo dell’Acquasanta l’8 maggio del 1922. Andava a scuola chiedendo passaggi sui carri da vino che, all’epoca, facevano la spola con i Castelli Romani "e quando arrivavo in classe - ricordava - puzzavo di mosto". La via del ritorno era sempre uguale, con una sosta alle Capannelle, poco più avanti del Quarto Miglio, per vedere i cavalli nelle scuderie e magari appassionarsi nel tempo all’ippica, oppure al circolo dell’Acquasanta. E Ugo venne irresistibilmente attratto dal più antico tracciato d’Italia. Si univa a un nugolo di ragazzi che andavano a raccogliere palline, ma a lui piaceva il gioco e scoprì presto di avere un talento innato. A dodici anni aveva cancellato l’handicap e a 16 vinse il primo torneo. Poi prese a girare il mondo, esprimendosi in un inglese dallo spiccato accento romanesco e con la sigaretta tra le labbra che non l’abbandonava mai, neanche al momento di eseguire il drive.

Vinse due Open d’Italia, nel 1950 a Roma bruciando Alfonso Angelini, e nel 1954 a Villa d'Este superando John Jacobs. Sul percorso dell'Acquasanta, per sconfiggere Angelini e altri campioni di caratura internazionale tra i quali il blasonato Henry Cotton, Grappasonni dovette ricorrere al meglio del suo repertorio. Così stabilì per due volte il record del campo, con 69 colpi al mattino e con un 66 incredibile per l'epoca nel pomeriggio.

"Dovevamo nascere più tardi - ripeteva come un ritornello senza fine - Io, Manca, Casera e Angelini giocavamo per una bottiglia di champagne. Oggi gira un mucchio di soldi. E noi che praticamente ci giocavamo la cena". Arrivò decimo all’Open Championship (1954) e giocò una World Cup alla quale partecipò Ben Hogan. A fine gara Hogan gli chiese di accompagnare la moglie a colazione, perché doveva rivedere qualcosa in campo pratica. Li avrebbe seguiti. Non vedendolo arrivare tornarono indietro e lo trovarono ancora lì, che stava provando e riprovando un colpo che non lo aveva soddisfatto durante il giro.

Nessuno, secondo la critica del tempo, era capace di uscire dai bunker come Grappasonni, considerato un giocatore di precisione e che si distingueva con dei drive che morivano quasi sempre a centro pista.

La svolta nel 1962, quando si sposò con Maura. Definì l’evento come "la più bella partita della mia vita". Smise di giocare definitivamente nel 1967 e divenne maestro titolare all’Olgiata, con la moglie impegnata a gestire il pro-shop. E’ deceduto nel 1999 all’età di 77 anni.

ALFONSO ANGELINI

Non ebbe un rapporto fortunato con l’Open il terzo "moschettiere", Alfonso Angelini, scomparso nel 1995. Era nato a Roma il 26 giugno del 1918, ma non in periferia come Grappasonni. Aveva un linguaggio meno colorito, ma con gli altri due grandi campioni condivideva la passione per il golf vissuto come lavoro, spesso duro, sacrificio, ma anche esaltazione nei momenti della vittoria o delle grandi sfide sia tra di loro che con i grandi campioni dell’epoca. Erano autodidatti e avevano l’umiltà di osservare continuamente tutti coloro dai quali potevano apprendere qualcosa di nuovo, letteralmente "rubando" segreti dove potevamo. E furono tutti e tre grandi maestri, capaci di trasmettere con estrema efficacia quanto avevano appreso nei loro viaggi in Italia e all’estero.

"Occorre sacrificio- soleva dire Angelini negli ultimi anni della sua vita - per diventare campioni in questo sport. Oggi è tutto più facile, perché c’è la possibilità di guadagnare molto. E anche i campi sono ben diversi: noi trovavamo tra l’erba persino i carciofi. Eravamo tre amici, prima che avversari sul campo. Uno guardava l’altro e ci davamo dei consigli per migliorarci. Ugo aveva un movimento invidiabile; Aldo era un giocatore "lungo"; io lasciavo a desiderare sotto l’aspetto stilistico, ma ero potente".

Figlio di un ingegnere delle Ferrovie dello Stato, da bambino spesso tralasciava i compiti per correre all’Acquasanta dove faceva il caddie e dove passava anche molto tempo a osservare Pietro Manca e Robert Doig. Vinse la sua prima gara a 11 anni, a 18 era già maestro e aveva tra gli allievi i nipoti di Pio IX. Poi la guerra che lo vide impegnato nella campagna di Russia. Tornò con tre ferite e gli furono amputate due dita del piede sinistro. Si riprese da quella terribile esperienza grazie al golf e a un matrimonio felice con Maria che gli diede tre figli. Vinse più di trenta tornei, tra i quali i dieci Omnium già ricordati, due Open del Portogallo (1962-66), due Open di Svizzera (1957-1966) e due Lancia d’Oro (1968-70).

L’Open fu tabù. Quattro secondi posti (1950-51-58-59), ma ci andò soprattutto vicino nel 1951. Lo perse per colpa di un temporale che si abbatté sul percorso di Villa d’Este quando mancava da giocare l’ultima buca. Si riprese il giorno dopo. "Prima dell’interruzione - raccontò in seguito - sentivo praticamente di avercela fatta, ma il giorno dopo le cose sono cambiate e fui sorpassato in extremis dallo scozzese Adams".

Iniziò l’attività di maestro a Villa d’Este e dopo due anni si trasferì in Egitto alla corte di Re Faruk rimanendovi cinque anni, vivendo tra Il Cairo e Alessandria. Rientrato in Italia andò al Circolo Golf Torino, quindi partì nuovamente con destinazione l’Estoril, in Portogallo, a fare per tre anni l’allenatore della squadra nazionale lusitana. Poi i vent’anni trascorsi al Golf Club Varese, prima di passare nel 1986 a Castelconturbia. Re Faruk non fu l’unico monarca incontrato, perché ebbe anche un ottimo rapporto con Re Leopoldo del Belgio.

IL MAESTRO DEI MAESTRI

Ricordando i "Tre Moschettieri" non si può dimenticare Pietrino Manca, il "teacher" che fu maestro di Grappasonni e Angelini e capitano in tanti incontri internazionali affrontati insieme ai tre moschettieri. Tra i numerosi successi quelli contro i francesi a Saint Cloud e due volte contro i tedeschi, all’Acquasanta (1935) e a Francoforte (1936).

Nato il 24 gennaio 1914 e deceduto l’11 novembre 2004 Manca, che è stato il primo professionista di golf insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, ha passato tutta la vita all’Acquasanta. Nel 1931, a 17 anni, divenne assistente sotto la guida di Robert Doig e cinque anni dopo fu maestro titolare. Iniziò in tal modo un’autentica leggenda nella storia dell’insegnamento.

Non bisogna tuttavia dimenticare che è stato un ottimo giocatore, come testimoniano il titolo Omnium del 1940 e il secondo posto, già ricordato, nell’Open d’Italia del 1948. A Manca viene unanimemente riconosciuto il merito di aver dato origine alla prima vera scuola di golf per professionisti. Almeno tre generazioni di giocatori hanno avuto per guida "Mamma Lupa", come lo chiamavano affettuosamente i suoi allievi più famosi. Nella lunga lista oltre ai due "moschettieri" appaiono, tra gli altri, i nomi di Roberto Bernardini, Ovidio Bolognesi, Alberto Croce, Romolo Croce, Giancarlo Grappasonni, Massimo Mannelli, Mario Napoleoni. Tra i dilettanti i grandissimi Franco Bevione e la sorella Isa Goldschmid Bevione. Alla sua scuola, però, sono passati oltre ai tantissimi soci del circolo anche personaggi famosi: teste coronate, nobili romani e non, politici, attori, sportivi. Come detto, Manca non ha mai lasciato l’Acquasanta, ma ha prestato la sua opera durante i periodi estivi nei club di Venezia, Punta Ala, Stresa, Campo Carlo Magno, Venezia e nel circolo elvetico di Crans sur Sierre.

 

 

 

 

 

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Ryder Cup 2022, una grande opportunità

L’aggiudicazione della Ryder Cup 2022 è stato un trionfo storico per il golf e per tutto lo sport italiano. Ma va considerato come il punto di partenza di una nuova era per il movimento golfistico nazionale. Perché apre nuovi orizzonti e opportunità che sarebbe un errore lasciarsi sfuggire. Di questo e di tanto altro si è parlato durante gli Stati generali del golf, organizzati dalla Federazione Italiana Golf (FIG) all’hotel Principe di Savoia di Milano.

Oltre al presidente di CONI Servizi e della FIG, Franco Chimenti, erano presenti i vicepresidenti Antonio Bozzi e Paolo Casati, il Segretario Generale Stefano Manca, Lavinia Biagiotti, vicepresidente del Marco Simone Golf & Country Club, percorso ufficiale della Ryder Cup 2022, e Paolo D’Alessio, Commissario straordinario dell’Istituto per il Credito Sportivo. L’incontro è stato moderato da Chiara Geronzi, responsabile della comunicazione FIG.

Il golf italiano ha risposto con una grande partecipazione. In platea, i consiglieri federali, i rappresentanti sul territorio, i presidenti dei circoli, i giocatori professionisti e dilettanti.

“Il 16 dicembre 2015 - ha introdotto i lavori Chiara Geronzi - rimarrà una data indelebile nella storia del golf italiano. Questo grazie alla tenacia del presidente Franco Chimenti e a un team di giovani in gamba, ben preparati e in grado di poter raggiungere un risultato impensabile”.

Dopo una presentazione filmata, che ha riassunto alcuni momenti particolari nella corsa alla Ryder Cup 2022, il presidente Franco Chimenti ha fatto una esauriente cronistoria di come si sia arrivati all’assegnazione.

“In questo lungo percorso ho avuto il supporto di una Federazione straordinaria, di un Consiglio Federale altrettanto straordinario, di Lavinia Biagiotti e di tanti validissimi compagni in questa avventura che non dimenticherò mai. In particolare è stato determinante l’appoggio del presidente del CONI Giovanni Malagò.

L’idea è nata in occasione di un Open Championship di due anni addietro, quando l’allora CEO dell’European Tour George O’Grady mi sollecitò a proporre quale sede l’Italia. Così, insieme ai miei collaboratori, ho iniziato a lavorarci e ho reso pubblica l’idea in occasione della premiazione al Circolo Golf Torino dell’Open d’Italia 2014. Già da allora pensavo a Roma, perché ha una ricezione alberghiera enorme, adatta a tale evento e un fatto di primaria importanza, da unire al suo fascino, alle sue bellezze archeologiche, al suo clima magico, che sono stati dei punti sui quali abbiamo posto fortemente l’accento. Abbiamo preparato la nostra proposta avvalendoci di consulenti di prim’ordine curando tutto nei minimi dettagli sin dalla veste grafica con cui abbiamo presentato il nostro bid.

Abbiamo convolto il presidente del Consiglio Matteo Renzi e ben otto ministri, tutti firmatari del documento insieme a noi. Mai il golf aveva avuto tanta attenzione da parte delle istituzioni.

Poi sono iniziate le visite ispettive e siamo stati impeccabili nell’accoglienza. A pochi giorni dall’assegnazione ho fatto quella che ritengo la mossa decisiva offrendo a Keith Pelley, l’attuale CEO dello European Tour, una serie di Open nazionali con un montepremi di sette milioni di euro. Con l’appoggio del CONI e con l’intervento dell’Istituto per il Credito Sportivo, abbiamo dato le necessarie garanzie. Ed è stato il successo”.

Il presidente ha poi sottolineato come la Ryder Cup possa essere una grande viatico per lo sviluppo del golf nella penisola. “E’ una grande opportunità da interpretare e sfruttare al meglio L’Italia è diventata una star mondiale del golf e ora abbiamo un Open d’Italia che, con il suo montepremi che dal 2017 sarà di sette milioni di euro, si allinea ai più grandi eventi internazionali.”

Infine Chimenti si è rivolto all’Assemblea: “Ora occorre fare una politica, con l’aiuto di voi che siete in sala e appoggiata dalla Federazione, che possa determinare un cambiamento definitivo. Abbiamo commissionato uno studio, elaborato da strutture qualificate e assolutamente attendibili, secondo il quale la Ryder Cup produrrà un importante numero di tesserati, insieme a un notevole incremento del turismo. Al contrario di quanto ha fatto la Francia, quando ha avuto la Ryder Cup 2018, non sarà apportato alcun aumento al costo della tessera federale”.

Lavinia Biagiotti ha detto: “Sono emozionata e commossa. Ho imparato dalla mia famiglia a lavorare con umiltà e determinazione e a fare grandi passi, perché con i piccoli non si va da nessuna parte e siamo arrivati a questo risultato eclatante. Gli inglesi dicono che per fare un grande circolo occorrono un terreno ampio e 50 anni. Il nostro, quando ospiterà la Ryder Cup, ne compirà 30”. Ha poi ringraziato il presidente Chimenti, il gruppo di lavoro e ha ricordato il padre scomparso, Gianni Cigna: “Ha avuto la visione di costruire un campo per gare internazionali e mi ha lasciato una targa di cui tengo gran conto e dove è scritto “it can be done”, si può fare”.

“Siamo entrati nella squadra -è intervenuto Paolo D’Alessio - all’ultimo momento. L’Istituto per il Credito Sportivo crede nello sviluppo golfistico italiano che deve crescere in prospettiva in maniera imperiosa. Abbiamo avuto sempre un’attenzione privilegiata per questo sport e ora abbiamo istituito il Fondo di Garanzia che permetterà di accedere ai finanziamenti in maniera ancor più agevolata”.

Il grande campione Costantino Rocca di Ryder Cup ne ha disputate tre: “Giocarla, per me, è stato un sogno e un onore. Ora noi possiamo vivere questa attesa pensando alla gioia immensa che ci darà quando verrà disputata”.

Infine è intervenuto il consigliere federale e coordinatore della candidatura Marco Durante: “Dobbiamo essere orgogliosi di avere un presidente come Franco Chimenti che, in questa impresa, è stato un grande condottiero. Siamo stati tutti all’altezza del compito, ma soprattutto siamo stati capaci di fare squadra. Ognuno di noi, che ha partecipato a questa iniziativa, ha portato un frammento importante di competitività italiana. Abbiamo portato l’Italia all’attenzione del mondo e ora la Ryder Cup deve essere l’occasione per ogni circolo e per ogni tesserato di portare avanti un discorso di crescita con lo stesso entusiasmo che abbiamo messo noi per arrivare al grande traguardo”.ndi imprenditori italiani. Con il loro appoggio siamo arrivati al successo”.

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Primo piano

  • Il ritorno al successo
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    crederci, sempre”
    Il ritorno al successo di Paratore: “Bisogna crederci, sempre” 14/04/2025

    Dai successi alle difficoltà e ritorno. Dopo anni di purgatorio Renato Paratore ha ritrovato la vittoria. Negli Emirati Arabi Uniti ha dominato l’UAE Challenge, evento dell’HotelPlanner Tour, tornando a festeggiare una impresa a distanza di 1.723 giorni dall’ultima volta (British Masters sul DP World Tour nel luglio 2020). “Sono davvero felice. È stato un exploit importante perché non riuscivo ad affermarmi da molto tempo. Ho avuto dei dubbi e mi sono chiesto: ‘Ma riuscirò a tornare a vincere’? Non è stato facile, ma ce l’ho fatta. E adesso, l’obiettivo del 2025, è quello di riconquistare la ‘carta’ per il massimo circuito continentale”, spiega Paratore in una intervista a cuore aperto sui canali federali. È la storia di un predestinato, quella di Paratore. Nato il 14 dicembre del 1996 a Roma, da dilettante ha conquistato prima lo Junior Orange Bowl nel 2013 a Miami (Usa), poi, nel 2014, il Portuguese International Amateur Championship a Palmela.

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Golf Story

  • I "tre moschettieri"
    e il super maestro
    del golf italiano
    I "tre moschettieri" e il super maestro del golf italiano 15/04/2021

    Da 2 al 5 settembre prossimo tornerà l’Open d’Italia. Sarà la 78ª edizione dell’evento nato nel 1925  che però in tanti anni ha espresso solo sei vincitori italiani, due capaci di fare doppietta, Ugo Grappasonni (1950-1954) e Francesco Molinari (2006-2016) che si sono affiancati a Francesco Pasquali, a segno dell’edizione inaugurale del 1925, Aldo Casera (1948), Baldovino Dassù (1976) e a Massimo Mannelli (1980). Tra i "magnifici sei" soffermiamo l’attenzione su Aldo Casera e Ugo Grappasonni, due esponenti dei mitici "Tre moschettieri" del golf italiano. 

    Del trio faceva parte anche Alfonso Angelini, che non ebbe mai la fortuna di vincere l’Open, ma che detiene un primato probabilmente destinato a perenne imbattibilità: si impose per ben dieci volte nel Campionato Nazionale Omnium, oggi Campionato Nazionale Open.  La loro storia si intreccia con quella di un altro grandissimo personaggio, Pietrino Manca "il maestro dei maestri" che ha trascorso tutta la sua vita al Circolo Golf Roma Acquasanta

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